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Guerra e pace… al femminile

Copertina podcast "Scrinium. I tesori del latino"

Ifigenia e Il trono di spade

Nel mito, nella letteratura, in musica e nel cinema le donne interpretano spesso il ruolo di vittime di guerre scatenate e combattute dagli uomini.

Conosci la storia di Ifigenia, la figlia maggiore di Agamennone, re degli Achei? Prima di partire per la guerra di Troia, le navi greche restano ferme nel porto di Aulide perché gli dei, adirati, hanno sollevato venti che ostacolano la partenza della flotta. Il sacerdote Calcante spiega all’esercito e ai suoi comandanti che l’ira divina può essere placata solo con un sacrificio alla dea Artemide (la Diana dei Romani). Ma in cosa consiste questo sacrificio? Agamennone, il re a capo della spedizione, dovrà uccidere la sua primogenita, Ifigenia. Per convincerla a recarsi ad Aulide, Agamennone le promette di darla in sposa al valoroso guerriero Achille. Dopo averle fatto indossare l’abito nuziale, però, dà ordine di ucciderla, per permettere alle navi di salpare verso Troia.

Questa versione del mito ci è stata raccontata dallo scrittore greco Eschilo nella tragedia Agamennone, ma anche il poeta romano Lucrezio, nel I sec. a.C., ricorda questo drammatico episodio all’inizio del suo poema Sulla natura.  Per Lucrezio il sacrificio di Ifigenia rappresenta gli atti crudeli che l’uomo può arrivare a compiere a causa della superstizione.

Ti ricorda qualcosa?

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Copertina podcast “Scrinium. I tesori del latino”

In un episodio della serie tv Il trono di spade, tratta dai romanzi di George Martin, la sacerdotessa Mélisandre convince l’aspirante re Stannis Baratheon a sacrificare la sua unica figlia, Shireen, al Dio della Luce, proprio per favorire la partenza dell’esercito.

Il ruolo della donna in tempo di guerra è spesso quello di vittima sacrificale, ostaggio, schiava. Il suo corpo è considerato una merce di scambio, come mostra il mito del rapimento delle Sabine che hai letto nel tuo libro. Oltre a patire le atrocità dei conflitti armati in prima persona, le donne sono costrette a subire la perdita dei loro uomini e ad assistere all’uccisione dei figli. Una sorte che ancora oggi accomuna le donne dei popoli in guerra.

Nel libro La morte non mi ha voluta, Yolande Mukagasana racconta il genocidio di quasi un milione di persone della sua etnia, i tutsi, da parte di un gruppo etnico rivale, gli hutu, avvenuto verso la fine del Novecento in Ruanda, uno stato dell’Africa orientale. Yolande sopravvive miracolosamente al massacro, ma perde il marito e i suoi tre figli adolescenti. Un destino che condivide con la regina di Troia, Ecuba, che, fatta prigioniera dai Greci, impazzisce per il dolore della perdita dello sposo, Priamo, e dei figli. Ce lo racconta Euripide, tragediografo greco del V secolo a. C. che ha reso eterne le vicende di grandi personaggi femminili del mito. Ma la storia di Ecuba colpì anche l’immaginazione di Seneca, che diversi secoli dopo le dedicò la tragedia intitolata Le troiane, che si conclude proprio con il grido di dolore della protagonista:

Andate, andate, Danai, tornate ormai al sicuro nelle vostre dimore, la flotta solchi tranquilla il mare agognato a vele spiegate: sono caduti la fanciulla e il bambino, la guerra si è conclusa. Dove porterò le mie lacrime? Dove abbandonerò questa mia vita di vecchia, che indugia a lasciarmi? Piango la figlia o il nipote, il marito o la patria? Tutto e tutti, o me soltanto?

Ma anche chi resta a casa ad attendere il ritorno dei soldati è, a suo modo, una vittima. Nelle Heroides, un libro scritto tra il I secolo a. C. e il I d.C., l’autore latino Ovidio immagina che le eroine del mito scrivano delle lettere agli uomini di cui sono innamorate. Tra queste, Penelope, la moglie di Ulisse, racconta il dolore che prova per la lontananza del marito, che l’ha abbandonata per rischiare la vita nella guerra di Troia, lasciandola sola con il figlioletto Telemaco e con l’anziano suocero Laerte.

Donne e pace

Leggendo queste storie, non stupisce che spesso siano state proprio le donne a battersi per la pace.

Lisistrata

L’autore greco Aristofane, vissuto tra il V e il IV secolo a. C., in una delle sue commedie più famose, Lisistrata, immagina che le donne, stufe delle guerre scatenate dagli uomini e di mettere al mondo figli destinati a diventare soldati, decidano di proclamare uno sciopero del sesso per convincere i loro uomini a smettere di combattere. Il nome della protagonista, Lisistrata, significa “scioglitrice di eserciti”, perché convince le donne delle due parti in guerra a ribellarsi contro i mariti, diffondendo un coraggioso messaggio antimilitarista attraverso l’ironia e le battute pungenti.

Elsa Morante

Nel corso dei secoli molte donne hanno combattuto in prima linea una ardimentosa battaglia contro i conflitti armati. Negli anni della guerra fredda, quando Stati Uniti e Unione Sovietica erano a un passo dalla guerra nucleare, la scrittrice Elsa Morante scrisse il saggio Pro o contro la bomba atomica, in cui contrappose le tenebre della distruzione militare alla forza creativa dell’arte.

E probabilmente hai già sentito parlare di Malala, la cui lotta per i diritti ha ispirato molte bambine, ragazze e donne a rivendicare la propria libertà e l’uguaglianza tra i sessi.  La sua storia ebbe inizio quando un gruppo di talebani, cioè di terroristi ed estremisti islamici, vietò alle bambine e alle ragazze del villaggio pakistano di Malala di frequentare la scuola, nella convinzione che il ruolo delle donne fosse soltanto quello di mogli e madri devote.

Malala decise però di far sentire la sua voce e di aprire un blog in cui sosteneva il diritto delle donne di ricevere la stessa istruzione dei loro coetanei maschi. Ovviamente l’idea non piacque ai talebani, che le spararono in testa mentre stava salendo sull’autobus per andare a scuola. Malala, però, sopravvisse al colpo, e da allora non ha mai smesso di combattere per i diritti civili delle donne di tutto il mondo, meritando così il Nobel per la Pace.

Russia e Ucraina

Nell’Europa di oggi, dopo lo scoppio del conflitto russo-ucraino, sono emerse manifestazioni pacifiste di gruppi di donne. Alcune attiviste ucraine, nel 2022, hanno scritto il Manifesto di “Resistenza femminista contro la guerra” 22 (https://www.globalproject.info/it/mondi/il-diritto-di-resistere-manifesto-femminista/2407), che ci invita a riflettere su come, nei secoli, le donne abbiano contribuito in modo sempre più importante sia allo sforzo bellico sia alla risoluzione delle guerre. Contemporaneamente, in Russia, molte donne rischiano il carcere per protestare pacificamente contro il conflitto e organizzare commemorazioni delle vittime ucraine.

Donne in guerra

Ma le donne non scelgono la pace soltanto perché sono “imbelli”. L’aggettivo “imbelle” deriva dal latino bellum unito al prefisso di negazione in e significa “inadatto alla guerra”, “incapace di combattere”. E una donna, lo sappiamo, è in grado di imbracciare le armi proprio come un uomo.

Camilla

Nell’XI libro dell’Eneide, Virgilio racconta l’eroismo di Camilla, regina dei Volsci, cresciuta nei boschi tra gli animali selvaggi ed esperta nell’uso dell’arco, del giavellotto e della fionda. A differenza delle sue coetanee, Camilla prova interesse soltanto per le armi e, durante la guerra contro i Troiani, combatte valorosamente al fianco di Turno, re dei Rutuli, contro l’esercito di Enea. La segue un gruppo di donne guerriere, le Italides, insieme alle quali farà strage di nemici. Proprio durante lo scontro, però, trova anche lei la morte, ferita fatalmente da una freccia.

Virgilio, Eneide, La morte eroica di Camilla

Quando, appena scagliata, l’asta sibilò nell’aria,

gli animi e gli occhi angosciati dei Volsci

corsero tutti quanti alla regine. Di nulla lei s’avvide,

né del ronzio che, cadendo dal cielo, produceva in aria il dardo,

finché, giungendo a segno, l’asta sotto il nudo seno

s’infisse e, penetrata a fondo, bevve il sangue della vergine.

[…]

Camilla, morente, tenta di estrarre con la mano il dardo,

ma profonda è la ferita e tra le ossa del costato resta infissa

la punta del ferro. Esangue si spegne, freddi di morte si spengono

gli occhi e il colore purpureo che aveva abbandona le gote.

(Musae comites, vol. II, trad. di M. Ramous, vv. 799-804 e 816-819)

Resistenza al femminile

Camilla, come sai, è un personaggio del mito. Ma le donne guerriere non appartengono certo a un mondo immaginario. A metà dell’Ottocento, ad esempio, Anita, la moglie di Giuseppe Garibaldi, incinta di diversi mesi, combatté a Roma per l’Unità d’Italia al fianco del marito. Un monumento sul colle romano del Gianicolo la raffigura mentre cavalca armata verso la battaglia.

In tempi più recenti, durante la Resistenza italiana, le donne giocarono un ruolo cruciale nello scontro con i nazifascisti. Laura Seghettini, maestra elementare, a soli 21 anni si unì alla lotta partigiana, arrivando addirittura a ottenere il ruolo di comandante di distaccamento. Altre partigiane, come Graziella Tassi, collega di Laura, facevano le “staffette”, cioè trasmettevano messaggi o portavano ai partigiani generi di prima necessità, ma anche cartucce ed esplosivi, nascondendoli nella borsa della spesa.

Gli orrori della Seconda guerra mondiale hanno lasciato una traccia indelebile nella nostra Costituzione. Pensa ad esempio all’articolo 11:

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

L’ideale pacifista che lo ispira nasce proprio dalla reazione alle atrocità del conflitto.

E gli uomini?

E gli uomini, ti starai chiedendo, sono forse sempre favorevoli allo scontro armato? Certo che no. Anche loro, spesso, sono costretti dentro le rigide gabbie dei ruoli di genere, che impongono di comportarsi virilmente, cioè da uomini duri, e a mettere da parte i sentimenti. Lo sai che l’aggettivo virile deriva dal latino vir? Vir significa “uomo”, o meglio “maschio”, e da questa parola discende anche il latino virtus. Ma nell’antica Roma la virtus non aveva molto a che vedere con il pudore e la sobrietà che oggi associamo alla parola virtù. La virtus, come scrive Cicerone nel I secolo a.C., è

[…] il disprezzo della morte e il disprezzo del dolore. Questi dunque bisogna praticare, se vogliamo essere padroni della virtus, o piuttosto se vogliamo essere viri […]

Nel latino classico, la parola virtus corrisponde all’incirca alle espressioni valore, coraggio, sprezzo del pericolo; infatti, il termine vir può essere tradotto anche con l’italiano eroe.

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Ettore e Achille

Eppure, nel mondo antico, così come in quello contemporaneo, c’è spazio anche per gli uomini che con la guerra non vogliono avere nulla a che fare, e che sono obbligati combattere anche se non vorrebbero farlo.

Come Ettore, principe di Troia, che, nell’Iliade, lascia a malincuore la moglie, Andromaca, e il figlio ancora piccolo, Astianatte, per trovare la morte sul campo di battaglia. A ucciderlo sarà Achille, ma sai che anche lui non aveva molta voglia di partecipare allo scontro con Troia?

Il poeta latino Stazio, nell’Achilleide, il poema dedicato ad Achille, ci racconta che l’eroe greco, per non essere reclutato nell’esercito, si travestì da donna e andò a fare la dama di compagnia delle figlie del re di Sciro, Licomede.

All’epoca era molto raro che le donne combattessero, e questo stratagemma doveva permettere ad Achille di salvarsi dalla morte che sua madre, la dea marina Teti, gli aveva annunciato. Ma l’astuto Ulisse, per trarlo in inganno, si camuffò da mercante e andò a offrire doni alla corte di Licomede. E indovina quale tra questi regali attrasse subito l’attenzione di Achille? Una spada! Così Ulisse riuscì a smascherarlo e a condurlo in battaglia nella città di Priamo.

Autori pacifisti di età augustea

Nell’antica Roma era opinione diffusa che la guerra fosse il mezzo più efficace per garantire la pace, come ci ricorda la famosa frase dello scrittore Vegezio «Si vis pacem, para bellum» («Se vuoi la pace, prepara la guerra»). Questa sentenza, ormai proverbiale, nasconde però anche un altro significato, e cioè che solo chi ha vissuto il dramma della guerra può apprezzare fino in fondo la pace.

Virgilio

È il caso, ad esempio, di Virgilio, che proprio a causa delle guerre tra Ottaviano, futuro imperatore, e Marco Antonio aveva perso i terreni appartenenti alla sua famiglia e ai quali era profondamente legato. Anche per questo, il poeta non è propenso a cantare gli eroi guerrieri e lo fa solo per omaggiare Augusto. Virgilio preferisce piuttosto celebrare la pace e le gioie che da questa derivano. Nell’Eneide, la sua opera più famosa, ci racconta che l’anziano Anchise, ormai morto, rivede suo figlio Enea nei Campi Elisi, l’aldilà degli antichi greci e romani. Durante l’incontro, Anchise si rivolge a suo figlio, che è ancora vivo e può cambiare le sorti del suo popolo, con queste parole:

«No, figli, no! Tali guerre non covate nell’animo, non rivolgete al cuor della patria le forze gagliarde, e tu perdona per primo, che stirpe hai d’Olimpo, tu getta l’armi di mano, o mio sangue!».

Anchise implora Enea di abbandonare le armi, ma il figlio non potrà raccogliere questo invito.  Sarà costretto controvoglia a combattere battaglie che non sente sue, volute dagli dèi. La pietas e l’amore sono i sentimenti che ispirano tutto il poema, accanto al dolore per le giovani vite distrutte dalla guerra.

Tibullo, Elegie

«Chi fu l’uomo che inventò le spade orrende?

Quant’era feroce, e veramente di ferro!

Allora nacquero per il genere umano le stragi e le guerre,

e fu aperta alla morte una via più breve.

O forse, pover’uomo, non ebbe colpa, e siamo noi

a volgere al nostro male l’arma che lui ci diede contro le belve?

È tutta colpa dell’oro: non c’erano guerre

quando sulla mensa stavano coppe di faggio».

(Tibullo, Elegie I, 10, vv. 1-8, traduzione di L. Canali)

 

In questi versi, un altro autore dell’età di Augusto, Tibullo, contrappone la serenità della pacifica vita dei campi alla crudeltà delle battaglie. Ed è tra i primi a interrogarsi sulla responsabilità dell’uso delle armi. La responsabilità è di chi costruisce e vende questi strumenti di morte o di chi li utilizza?

Niente di nuovo sul fronte occidentale

Anche in tempi più recenti, di uomini contrari alla guerra ce ne sono stati molti. E alcuni di loro hanno lasciato testimonianze importanti.

Nel romanzo autobiografico Niente di nuovo sul fronte occidentale, da cui è stato tratto recentemente il film di Edward Berger di cui forse hai sentito parlare, lo scrittore tedesco Erich Maria Remarque racconta la drammatica storia di uno studente, Paul Bäumer, che parte volontario con i suoi amici per combattere la prima guerra mondiale, sperando di vivere un’eroica avventura nutrita degli ideali del coraggio e del valore. Della virtus, avrebbero detto gli antichi romani. Ma molto presto il rischio costante della morte, la fame e le angosce della vita di trincea gli mostrano che la realtà della guerra è ben diversa dall’ideale nazionalista che gli avevano trasmesso a scuola i suoi insegnanti. L’unico desiderio dei soldati è sopravvivere ai bombardamenti fino al giorno successivo o, per lo meno, al prossimo pasto. Il romanzo, così come i tre film che ne sono stati tratti, è un manifesto pacifista che denuncia la barbarie della guerra. Proprio per combattere la diffusione degli ideali di pace in Germania, a ridosso della seconda guerra mondiale, molte copie del libro saranno messe al rogo dal regime nazista.

Al di là dei pregiudizi e dei luoghi comuni, le donne non sono pacifiste per natura, così come non tutti gli uomini sono belligeranti (ecco un’altra parola che deriva da bellum, che in latino significa “guerra”). Prendere posizione per la pace o per il conflitto rappresenta una scelta, e questa scelta non è sempre facile. Ti vengono in mente altre storie di donne combattenti, vittime dei conflitti o promotrici di pace? Raccontamele in un commento!

 

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Irene Gualdo

Mi chiamo Irene e sono un’insegnante di materie letterarie e latino. Terminati gli studi all’università ho conseguito l’abilitazione all’insegnamento e, grazie al concorso ordinario del 2016, ho incominciato a insegnare in un liceo di Roma. Dopo l’abilitazione, mi sono specializzata nelle attività didattiche di sostegno e mi sono addottorata in filologia italiana.

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